Moto3, la “nonna” delle attuali 250 è la gloriosa Morini bialbero
Cos’è oggi la Moto3? E’una 250 monocilindrica 4 tempi bialbero, “sorellina” minore della MotoGP 1000 4 cilindri. Alcuni, spregiativamente” definiscono la Moto3 un... “tosaerba”. Si tratta invece di un prototipo tecnologicamente raffinato...
Foto 1964: Silvio Grassetti (23) e Giacomo Agostini (2) entrambi su Morini 250 ufficiale.
La Moto3, categoria definita impropriamente “cadetta”, viene considerata importante più per lo show offerto dalle lotte dei giovanissimi piloti in pista che per la qualità tecnica delle moto. Tutto ciò per esigenze mediatiche in primis televisive e di sponsoring con le … “degenerazioni” dei “trenini” rispetto alla combattività delle gare e con i nomi dei Team di ogni pilota che hanno di fatto annullato quelli delle (poche) marche delle moto in lizza.
Anche quest’anno la griglia di partenza della Moto3 iridata è folta e di qualità con 30 piloti iscritti di cui 8 italiani (Foggia, Vietti, Arbolino, Migno, Antonelli, Dalla Porta, Rossi R., Fenati). Peccato che le Case impegnate, dopo il forfait di Mahindra (anche con i marchi Husqvarna e Peugeot) siano solo due, Ktm e Honda con 15 moto ciascuna, pur se non mancano a livello internazionale (Cev “mondialito” spagnolo e Civ “tricolore”) importanti nuove realtà pronte al debutto mondiale dalla prossima stagione, in primis la pesarese TM, senza dimenticare che la stessa Ducati (anche Aprilia?) ci sta…pensando.
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Ripetiamo: il “taglio” dato alla Moto3 dai media e soprattutto dai commentatori delle dirette televisive tende a fare – sul piano tecnico – “tutta un’erba un fascio” con il risultato che i più non sanno neppure qual è la cilindrata di questa categoria, il tipo di motore, la Marca ecc. Ciò è un limite perché concentra tutto l’interesse sullo show della corsa riducendo al minimo lo spirito di “bandiera” rappresentato dalla Casa.
Cos’è oggi la Moto3? E’una 250 monocilindrica 4 tempi bialbero, “sorellina” minore della MotoGP 1000 4 cilindri. Alcuni, spregiativamente” definiscono la Moto3 un… “tosaerba”. Si tratta invece di un prototipo tecnologicamente raffinato e con elettronica, materiali e componenti di gran pregio, con profusione di tecnologie avanzate, magnesio, carbonio ecc., pur se limitato da regolamenti (eccessivamente) restrittivi quali ad esempio il tetto massimo dei giri motore (13.500), il numero delle marce (6), i decibel degli scarichi (oramai tutti doppi), l’utilizzo di benzina normale, ecc.
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Moto con telaio adeguato al livello del propulsore, altrettanto raffinato sul piano progettuale e dei materiali. Moto dal peso poco sopra gli 80 Kg e motori (gli iper ufficiali) oramai sui 60 CV di potenza – in una manciata di stagioni si sono guadagnati una quindicina di HP – (utilizzo ottimale molto in alto e ristretto) e velocità di punta a ridosso dei 250 Kmh!
Non è questa la sede per una disamina tecnica particolareggiata ma per valutare – in termini generici – la differenza di questi bolidini odierni con le 250 da cui storicamente derivano, le “nonnine” degli inizi del Motomondiale del 1949, su su fino a che – diciamo nel 1968 – l’era del monocilindrico si chiude con l’addio alle corse della Morini.
In quel ventennio – 1949/1969 – le Case italiane sono state grandi protagoniste sia con le monocilindriche 4 tempi (Guzzi, Benelli, Morini, Mondial, Ducati, Aermacchi), sia con le bicilindriche (MV Agusta), sia con le 4 cilindri (Benelli). Dopo il 1969, con l’abolizione dei pluricilindrici oltre il bicilindrico e con il successivo dominio dei 2 tempi bicilindrici, la storia cambia. Torniamo a noi.
La mamma (anzi la nonna) più blasonata delle attuali 250 Moto3 è stata la Morini 250 mono 4 t. bialbero Grand Prix. Che storia! La Casa bolognese debutta in 250 nel mondiale 1957 a Monza con una moto (113 kg) e propulsore (29 CV a 10.000 giri) derivato dal mitico “Rebello” 175. Il Comm. Alfonso Morini non è però convinto e mette tutti alla stanga per un nuovo progetto da cui un anno dopo (settembre 1958, sempre a Monza) si vedranno i risultati.
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La inedita “duemmezzo” emiliana completamente rifatta (monocilindrico bialbero “ultraquadrato” con asse verticale 72X61 mm = 248 cc., doppia accensione con due candele da 12 e da 10 mm, cambio in blocco a sei marce, 32 CV di potenza a 10.500 giri, ruote da 2,50X19 davanti e 2,75X18 dietro, peso totale 108 Kg, velocità di punta oltre 215 Kmh) sbalordisce mettendo ko le MV Agusta bicilindriche 4 tempi di Carlo Ubbiali e di Tarquinio Provini dominatrici delle precedenti stagioni con un perentorio trionfo: Emilio Mendogni primo, Giampiero Zubani secondo!
Morini non si accontenta e rilancia. Per il 1960 ancora un nuovo telaio (più basso e leggero e con carenatura profilatissima a vitino di vespa) e un gran lavoro di cesello sul motore che dimostra di poter essere spremuto per aumentare cavalli e soprattutto per modulare meglio l’erogazione della potenza. Il peso scende sui 100 Kg, il motore sale di potenza: prima 35 CV a 11.000 giri, poi (1963) 37-38 (anche 40?) CV a 11.500 giri con una velocità che alla fine tocca i 240 Kmh.
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Questi dati non saranno più superati dalla 250 Morini GP. Un gioiello sotto ogni profilo. Una moto bellissima, estremamente maneggevole, motore superbo ovunque, specie nei tracciati misto-veloci. Con questo prezioso “giocattolo” – che resterà in seguito immutato – Tarquinio Provini dominerà per quattro stagioni (memorabile il trionfo al GP della Nazioni di Monza 1963 bruciando le Honda ufficiali capitanate da Redman), mancando solo per un soffio il titolo iridato 250 nell’ultimo GP del Giappone dopo aver disertato improvvidamente due gare (TT e Sachsenring).
Con quella stessa moto debutterà Giacomo Agostini a Monza ’63 dominando poi nel “tricolore” 1964. Ma anche altri (pochi) piloti – scelti con la lente di ingrandimento dal Comm. Morini – coglieranno significate affermazioni: Silvio Grassetti (storico debutto a Modena ‘64 con Agostini compagno di squadra; podio iridato a Daytona Beach alle spalle delle moto giapponesi ben più “sofisticate” affidate a Hailwood e Redman ecc. (Honda) e a Read, Duff ecc. (Yamaha) e davanti alle Suzuki 4 cilindri 2 tempi e poi altrettanto storica vittoria a Sebring ecc.; ancora le grandi lotte con il binomio Provini-Benelli ecc.); Angelo Bergamonti (che regala alla Casa emiliana l’ultimo titolo tricolore nel 1967 in fotofinish sul binomio delle Benelli Grassetti-Pasolini) e, fugacemente Walter Villa, Bruno Spaggiari, Gilberto Parlotti.
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Ma la battaglia diventa impari. Honda scende in forza con le 250 4 tempi 6 cilindri; Yamaha prima con le bicilindriche 2 tempi poi con le 4 cilindri 2 tempi; Benelli rinnova le sue 250 (quindi anche le 350 e 500) 4 cilindri 4 tempi (con Provini; poi con Pasolini e con lo stesso Grassetti tornato all’ovile a Pesaro dopo i primi successi stagionali sulla Morini; poi con Carruthers che riporta l’iride alla Casa del Leoncino dopo 20 anni); MZ fa volare le sue bicilindriche 2 tempi a disco rotante ecc.
Motori più complessi e delicati, moto più pesanti e difficili da portare al limite. Ma, alla fine, il divario di prestazioni fra la Morini monocilindrica e le avversarie pluri frazionate diventa incolmabile. Per Morini il 1968 è il canto del cigno, l’addio alle corse. Bergamonti, col tricolore in testa, si batte come un leone e va anche a podio (Imola) ma il “monocilindrico” non regge più lo scontro con la concorrenza i cui motori dispongono di potenze impressionanti per il periodo: Benelli 4 oltre 55/57 (60?) CV a 16.500-17.000 giri, Honda 6 oltre 60 (65?) CV a 18.000 giri! E qui ci fermiamo. Tanto di cappello alla monocilindrica più veloce del mondo, la vera progenitrice delle attuali Moto3.
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