MotoGP “trenino”. E’ vero show?

Quando sotto la bandiera a scacchi il primo – Dovizioso - rifila al secondo – Marquez – 23 millesimi e al terzo – Crutchlow – 320 millesimi, poco meno di mezzo secondo al quarto Rins (+0.457) e poco più al quinto Rossi (+0.600) non si può negare lo show in pista...

Di Massimo Falcioni
Pubblicato il 11 mar 2019
MotoGP “trenino”. E’ vero show?

Il primo round stagionale della MotoGP a Losail, oltre a riproporre il magnifico bis 2018 del trionfo in volata di Dovizioso su Marquez, conferma la corsa-trenino, di fatto con i piloti “a manetta” solamente nei due-tre giri del rush finale.

Non è che dal semaforo verde, per una ventina di giri, i piloti vadano “a spasso” ma, al di là delle apparenze e dalla foga di telecronisti urlatori da gara della ruzzola, i dati – cioè i tempi sul giro – dimostrano che la corsa, specie in testa, si divide in due fasi: quella di assestamento/mantenimento lunga circa due terzi e di più e quella decisiva delle ultimissime tornate dove in una sfida all’OK Corral si sparano tutte le cartucce e si decide vittoria e podio.

Quando sotto la bandiera a scacchi il primo – Dovizioso – rifila al secondo – Marquez – 23 millesimi e al terzo – Crutchlow – 320 millesimi, poco meno di mezzo secondo al quarto Rins (+0.457) e poco più al quinto Rossi (+0.600) non si può negare lo show in pista. Ma è vero show? O meglio, che tipo di show è questo? Qual è l’effettivo valore tecnico-agonistico?

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Una analisi, se pur sommaria, conferma quanto sopra detto: di corsa-trenino trattasi. Potremmo aggiungere corsa non priva di appeal per chi la guarda e non priva di rischi per i protagonisti. La controprova? Quasi tutti i piloti ieri hanno effettuato il loro giro veloce verso metà gara poco più poco meno, cioè quando le gomme e gli assetti erano al top: Dovizioso miglior tempo al 13° giro (1.55.385); Marquez al 18° giro (1.55.347) nel tentativo di contrattacco; idem Crutchlow sempre al 18° giro (1.55.377) per resistere all’abbordaggio degli inseguitori; Rins al 13° giro (1’55.069); Rossi al 14° giro (1.55.393); Petrucci al 13° giro (1.55. 478); Vinales l’eccezione miglior tempo al 20° giro (1.55.256); Mir al 13° giro (1.55. 478); Nakagami al 13° giro (1.55.650); A. Espargaro all’11° giro (1.55.976); Morbidelli addirittura al 6° giro (1’55. 503); P. Espargarò all’11° giro (1.55.976); Jorge Lorenzo al 10° (1.56.168); Iannone al..3° giro (1.55.039); Zarco all’8° giro (1.55. 942).

E tutti hanno girato forte alla fine, pur con quel che restava della gomma: Dovizioso, dopo una serie di passaggi (11 per la precisione) sopra l’1’56, dal 17° giro fino alla bandiera a scacchi ferma il cronometro sempre sull’1 e 55. Idem Marquez, Crutchlow, Rins, Rossi ecc.

Finale al cardiopalma. Una gran corsa? Per gli amanti delle battaglie in gruppo e dei volatoni infiniti tipo Tour de France in bicicletta, è l’apoteosi. Sotto questo aspetto, rendere (soprattutto televisivamente) la corsa uno show, si deve prendere atto che il promoter Dorna ha raggiunto l’obiettivo. Tutto bene, dunque? Dipende. Dorna, nel bene e nel male, ha reso il motociclismo sport di massa: creando il campione-star e la corsa-show usando a tal fine circuiti per lo più da… “go-kart”, con meno rischi possibili, e soprattutto usando i regolamenti tecnici restrittivi, con la mordicchia (il mono fornitore di pneumatici, gomma dall’usura “a tempo”, la centralina unica e altre diavolerie tese a “livellare” i competitors, per “fare mucchio” in pista, cioè show, reale o presunto poco conta.

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Ecco i “trenini” già visti nella Moto3 “tosaerba” e nella Moto2 “monomarca”. Prendere o lasciare. Nel motociclismo, in ogni epoca, si è sempre avuto un diverso equilibrio fra le priorità (tecnica-commerciale-spettacolo-immagine-comunicazione-sponsoring ecc.) legate comunque dalla costante passione per le corse di tutti i componenti del Circus.

La gestione Dorna, d’intesa con la FIM, ha radicalmente stravolto i livelli delle passate priorità. Da tempo la creatività sostituisce la passione. Le corse, così, sono diventate strumento di business (montagne di denaro da divedere con tutti i protagonisti) e lo show diventa indispensabile per alimentare interesse per un vasto pubblico e una vasta audience televisiva mondiale, appetibili per i grandi sponsor.

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Il grande pubblico va dove c’è grande spettacolo; e se c’è il grande pubblico ci sono i media, c’è la tv; e dove intervengono i media e la tv arrivano i grandi sponsor, in una girandola di soldi inimmaginabili fino a un paio di decenni fa. La passione diventa un orpello per chi fa business. A chi interessa davvero – oltre lo zoccolo duro di gente fissata come chi scrive questo pezzo – la fantasia dei tecnici progettisti, le quisquiglie tecnologiche, il rombo del motore (in tv la Moto3 pare un motocoltivatore, la MotoGP un brontolio catarroso), addirittura il Marchio della Casa: la Moto2 non è una “monomarca” e la Moto3 una “bimarca” dove quasi nessuno conosce il nome dei Team, le caratteristiche di motore, telaio ecc. ecc.? Questo passa il convento. E dietro l’angolo ecco l’ombra silente della MotoE.

Le gare iridate di velocità devono rimanere tali con lotta in pista “reale” dalla partenza alla fine, dove la tattica e la strategia devono essere una componente accessoria non prioritaria, tanto meno unica, dove la gomma non può assurgere al ruolo di “totem”. Si può fare meglio? Si può fare, preservando lo show-business senza però mortificare lo sport.

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