Le Mans 1979: il “volo” di Virginio Ferrari, addio mondiale 500!
Il 2 settembre 1979, 13° e ultimo GP stagionale, Virginio Ferrari tentava l’ultimo assalto al titolo iridato della classe regina in una epica battaglia contro Kenny Roberts.
Questo è il week-end di Le Mans, tappa fra le più attese e impegnative del Motomondiale dopo i primi tre round d’oltre Oceano e il ritorno in Europa a Jerez e prima della corsa show al Mugello. Le Mans, pur nel “piccolo” Bugatti, riporta a corse e campioni mitici, come 40 anni fa, quando proprio sul circuito francese, il 2 settembre 1979, 13° e ultimo GP stagionale, un pilota italiano, Virginio Ferrari, tentava l’ultimo assalto al titolo iridato della classe regina in una epica battaglia contro Kenny Roberts.
La giornata era iniziata magnificamente con il trionfo nelle 50 cc. del “piccolo-gigante” pesarese (di Urbino) Eugenio Lazzarini (Kreidler) che così regalava all’Italia il primo titolo dei “microbolidi”. Seguiva la 250 con la seconda doppietta consecutiva di Kork Ballington (Kawasaki) contrastato magnificamente dal “maestro volante” Graziano Rossi (Morbidelli). Ma i 150 mila assiepati lungo i 4,240 metri dello spettacolare e infido circuito de l’Ouest sferzato da raffiche di vento ma insolitamente baciato dal sole sono lì per la “classe regina” dove c’è ancora in palio il titolo mondiale. La tensione era ancor più acuta per le roventi polemiche della vigilia sul tema sicurezza (Le Mans era circuito fra i più rischiosi) tant’è che i piloti avevano già boicottato precedentemente il round di Spa-Francorchamps dopo un violento braccio di ferro con gli organizzatori.
Comunque, alla 16 in punto, starter d’eccezione Giacomo Agostini, in un boato, prende il via la 500, la corsa dell’anno. Va detto che l’impresa di Ferrari era, se non da miracolo, comunque al limite dell’impossibile con l’italiano secondo dietro all’americano di 14 punti in classifica: quindi serviva innanzi tutto una vittoria di Virginio e anche un … ritiro di Kenny. Per tentare l’impresa si confidava pure nel gioco di “squadra” con i “tostissimi” Barry Sheene e Wil Hartog sulle Suzuki 2 tempi 4 cilindri a dare manforte all’italiano mentre Roberts poteva contare sul rookie Randy Mamola.
Allo start la Suzuki di Ferrari recalcitra, costringendolo a un inseguimento, spettacolare quanto “storico”, purtroppo finito male. Chi scrive queste note era a bordo pista nella “esse” prima del mega diritto del traguardo (all’epoca seguito dal micidiale curvone). Proprio lì, all’inizio, cade rovinosamente Van Dulmen e proprio lì, dopo una rimonta da incorniciare e un ultimo sorpasso a danno di Sheene, Ferrari balza in testa alla corsa. La folla impazzisce e la “esse” è invasa nei lati dal pubblico come in una tappa alpina del Tour de France. Barry scuote il capo rabbioso e mostra un pugno chiuso. Guerra interna? Sì. Alla decima tornata Sheene beffa Ferrari e torna a guidare l’indemoniato carosello con Roberts che “assiste” gustandosi la scena, quasi in scia.
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Poi il boato-esclamazione del pubblico: Virginio è andato lungo nel discesone dopo un contatto con Barry, ma non è caduto ributtandosi ad inseguire, ancor più deciso, infilando Cecotto, settimo e già pronto a saltare Uncini, Sarron, Mamola per riportarsi davanti. 13° giro: vedo Virginio che esce d’impeto dalla scia del gruppetto di testa, piomba come un fulmine sulla esse: troppo veloce, troppo lungo, troppo fuori. Non c’è più spazio, non c’è più tempo. Ultima derapata, ultimo tentativo in controsterzo, impennata: Virginio è disarcionato a gran velocità, un tuffo che lo sbatte sull’asfalto, esanime. La folla, dopo l’urlo aggiaccante, ammutolisce. Sul circuito cala la cappa dei giorni della tragedia. Vince Sheene la gara. Vince Roberts il titolo. Lotta contro la morte Virginio. Corsa all’infermeria, corsa all’ospedale di Le Mans, minuti e ore interminabili. Virginio dice addio al Mondiale ma vince la sua corsa più importante.