MotoGP: Rossi in crisi?

Il GP d’Italia? Un disastro. Ma con un raggio di speranza dato dal cronometro...

Di Massimo Falcioni
Pubblicato il 4 giu 2019
MotoGP: Rossi in crisi?

Trionfa per la prima volta in MotoGP Danilo Petrucci, considerato fino al Mugello poco più di un gregario di lusso anche se coéquipier di Dovizioso sulla Rossa ufficiale, ma la domanda è una sola: e Rossi? Già. Dov’è Rossi? Com’è combinato il 9 volte campione del Mondo uscito dal “suo” Mugello con le orecchie basse, dopo il 18esimo tempo in qualifica, dopo un “lungo” nel caos del quinto giro, dopo l’epilogo all’ottavo passaggio nella ghiaia dell’Arrabbiata 2? Fatto sta che il “Dottore” ha toppato nella profezia della vigilia: “Al Mugello saremo più competitivi”. Non è la prima volta che gli annunci di riscossa restano tali. Se rivoluzione va fatta – nel progetto M1, nella gestione del Team e del … clan – c’è da ripulire anche “casa Rossi” e dintorni e da rimodulare una comunicazione e una immagine che non può essere più quella “aggressiva” e “sfrontata” dei tempi che furono. Se Valentino ha davvero imboccato il viale del tramonto quel “sistema” mediatico e di business Made in Rossi e quella MotoGP “Rossicentrica” rischiano, se non di incepparsi, di… imballarsi.

Che succede? E’ vera crisi? Ma di chi: della M1 al canto del cigno o del suo mitico pilota number one, senza più l’estro, la motivazione, l’aggressività, la tecnica, la tattica di un tempo, travolto dallo tsunami Marquez e dall’arrivo dei “giovani leoni”? Rossi e la Yamaha arrancano ma non hanno gettato la spugna. Non si sta ai vertici delle statistiche per caso: vale sia per il pilota che per la Casa. Certo, la ruota gira. La storia non si ripete ma anche miti consacrati quali Hailwood e Agostini imboccarono la “zona grigia” della discesa: rimanevano “mostri sacri” ma in pista non facevano più la differenza. Erano diventati “primus inter pares” per lignaggio ma non più dominatori, sempre veloci e temibili in una giornata di grazia ma privi di quel “valore aggiunto” che li aveva sempre caratterizzati e che fa la differenza fra un campione e un fuoriclasse. Qui siamo, più o meno.

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A botta calda, dopo il Mugello, in Rossi prevale la delusione ma non la rassegnazione e la resa da bandiera bianca. Serve una rivoluzione anche tecnica e organizzativa di moto e team o serve un’opera certosina per resettare il tutto evitando gli errori già commessi, specie in prova? In questa MotoGP iper tecnologica bastano gomme Michelin al posto delle Bridgestone per mandare in tilt un telaio come quello (notevole) della M1 e in fatto di motore (non è vero che il 4 in linea è finito) non basta ingaggiare (in ritardo) da Magneti Marelli un bravo ingegnere per recuperare il gap di elettronica dopo che a Ducati era stato dato un vantaggio di almeno due anni, con Honda sulla scia. Idem per l’aerodinamica. Insomma, ritardi nello sviluppo. Fare un passo avanti quando gli avversario ne fanno uno e mezzo, se non due.Tuttavia, come definire “fallito” un progetto – e un pacchetto: moto, team, pilota – che poche settimane prima ad Austin conquista autorevolmente il secondo miglior tempo in qualifica e il secondo gradino del podio in gara? E che anche in prova al Mugello non sfigura con ben tre piloti Yamaha su quattro con ottimi tempi sul giro girando forte anche sul passo. E in gara Quartararo, dopo una brutta partenza – 9° dopo il primo giro – rimonta fino a riagganciare la testa del gruppo, poi il ko causa l’anteriore in tilt. Insomma, alti e bassi e quindi calma e gesso: anche nelle valutazioni e nelle analisi serve equilibrio. Tirar fuori, adesso, i numeri che ricordano da quand’è che il fenomeno di Tavullia non vince una gara o tanto meno un mondiale è un esercizio… “carognino”, quanto fuorviante.

Limitiamoci dunque ai fatti valutando quel che è accaduto in questi primi sei round 2019 proiettando il tutto dopo il Mugello. All’opposto, appellarsi come fanno anche dopo il Gp d’Italia alcuni difensori di Valentino – veri e propri crociati dell’informazione partigiana – al suo quinto posto in classifica generale e al fatto che comunque gli altri piloti Yamaha sono dietro di lui significa quanto meno essere superficiali. Dopo sei gare, il quinto posto di Rossi – con il pesante gap di 43 punti dal leader Marquez – è frutto di una corsa all’indietro, un procedere del pesarese col passo del gambero, comunque una “continuità” precipitata al Mugello. Riguardo alla moto, la M1 ha i suoi limiti (in frenata, in velocità di punta e in accelerazione) ma, specie in alcuni tracciati, ha dimostrato di farsi ancora valere. In questo quadro, dopo il GP d’Italia, è stata emessa la sentenza: Rossi è nel tunnel della crisi senza possibilità di recupero, idem per la M1 della Casa dei tre diapason. E’ così? Se ci si limita al disastroso week end del Mugello, forse il peggiore di Rossi nella classe regina, è così. Ma per certificare la vera crisi serve la controprova di almeno altri due importanti appuntamenti quali sono quelli di Barcellona e di Assen. Dopo queste due importanti gare forse si potrà capire se la corsa italiana è stata per Rossi solo una pesantissima giornata “no” o il segnale inequivocabile del declino.

Nel motociclismo – la storia insegna – ci sono stati grandi campioni entrati in crisi in due modi: o di brutto, crollando da una gara all’altra specie dopo cadute con conseguenze pesanti sia sul piano fisico che psicologico; o lentamente, senza traumi fisici e mentali, ma per logoramento legato a demotivazione per mancanza di risultati, per carriere troppo lunghe o anche all’età che, inesorabile, toglie smalto e trasforma un fuoriclasse in semplice… campione, per non dire peggio. Rossi, oggi quarantenne, è integro sul piano fisico e mentale mantenendo fin qui inalterata la passione per le corse e la volontà di essere competitivo al massimo livello. E’ un pilota finito? Lasciamo parlare i risultati fino al Mugello: Qatar: 5° in gara, 15° in qualifica; Argentina: 2° in gara, 4° in qualifica; Texas: 2° in gara, 2° in qualifica; Jerez: 6° in gara, 13° in qualifica; Le Mans: 5° in gara, 5° in qualifica. Risultati non paragonabili a quelli del Rossi spavaldo ragazzino “mangiatutti”, magari prestazioni altalenanti e non eccellenti ma comunque impensabili, dato l’alto livello qualitativo in campo, per un pilota finito. Idem per la M1. Qatar: 1° in qualifica con Vinales, 5° in gara con Rossi come già detto; Argentina: 2° in qualifica con Vinales e 4° con Rossi poi 2° in gara; Texas: 2° in qualifica con Rossi poi 2° anche in gara e 5° con Morbidelli; Jerez: 1° e 2° in qualifica con Quartararo e Morbidelli e 5° con Vinales, 3° in gara con Vinales e 6° con Rossi; Le Mans, 5° in qualifica con Rossi poi 5° in gara.

E veniamo al GP d’Italia. Un disastro. Ma con un raggio di speranza dato dal cronometro. Il miglior tempo in corsa è di Miller (Ducati): 1’47.657. Ma Rossi, pur dopo il contatto e il “lungo” al quinto passaggio, già alla sesta tornata gira in 1’47.984, miglior tempo assoluto del giro fra tutti i concorrenti. Quando due giri dopo cade, gli intermedi lo davano sul ’47 medio, cioè attorno al record. Un giro forte poco conta come una rondine non fa primavera? Forse. Ma questi sono i miglior tempi in gara dei primi 11 arrivati: Petrucci (1’47.733) al 5° giro; Marquez (1’47.765) al 12° giro; Dovizioso (1’47.860) al 4° giro; Rins (1’47.789) al 4° giro; Nakagama (1’48.009) al 13° giro); Vinales (1’48.163) al 5° giro; e le altre Yamaha: Quartararo (1’48.089) al 5° giro e Morbidelli (1’47.806) al 5° giro, l’unico sulle M1 che gira più veloce di Valentino. Yamaha ferma sul dritto? Vediamo. Per quel che conta, sul drittone del Mugello, la M1 (348 Kmh) di Rossi ha un gap di oltre 5 Kmh nei confronti della Ducati di Petrucci (353,8Kmh) ma è comunque la più veloce fra le Yamaha in pista di oltre 3 Kmh rispetto alle M1 di Morbidelli e di Quartararo e di 4 Kmh rispetto a quella di Vinales. Poca cosa, ma è così. Per la cronaca, la Honda di Marquez è solo al 15esimo posto (346Kmh), quasi 8 Kmh inferiore alla Rossa del Petrux. Certo, la Yamaha (specie con Rossi) non ha l’obiettivo di arrivare nei pressi del podio: vogliono battersi per la vittoria in gara e per il titolo. Non è facile, a breve. Ci fermiamo qui, per adesso. C’è materia su cui riflettere.
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