MotoGP, la “questione” Ducati
Ducati "bollente" dopo Assen, divisione fra staff e piloti
Rimanere fuori dal podio ad Assen, subire quasi 15 secondi dal primo, perdere ancora punti pesanti in un campionato marcato Marquez-Honda, impone alla Ducati e ai suoi piloti una riflessione senza scusanti, una verifica autocritica, una svolta pronta e decisa. Ancora una volta la rossa macchina da guerra data per invincibile sembra aver perso la propria spinta propulsiva, arroccata sulla difensiva, facendo passare per buoni risultati che buoni non sono. Così cresce la tensione interna fra dirigenti e tecnici da una parte e i piloti dall’altra. Non è una questione di lana caprina: i primi ribadiscono che la moto è tutt’ora la migliore in campo e quindi deve andare a podio e anche vincere, mentre i secondi, specie il Dovi, contestano: “Ducati non è la moto migliore, la moto non gira”.
Per capire l’aria che tira in Ducati dopo Assen, basta osservare il muso lungo di Dovizioso e ascoltare lo sfogo nel dopo corsa di Petrucci. Insomma, mentre l’avversario number one, Marquez – di fatto “unico” pilota Honda specie dopo il ko di Lorenzo – continua a macinare grandi prestazioni con risultati eclatanti e punti pesanti involandosi in classifica generale, addirittura le Ducati sono sempre più insidiate dalle Yamaha e persino dalle Suzuki incidendo sui risultati di gara e conseguentemente sulle prospettive di un campionato che per Dovizioso e per Petrucci può prendere una brutta piega.
Che succede? Succede che dove mancano lunghi dritti la Rossa perde il vantaggio del suo gran motore pagando al contempo i suoi noti gap in percorrenza di curva. Ma, quel che è peggio, oltre alle difficoltà tecniche, a Borgo Panigale è tornata a soffiare l’aria del dubbio, un po’ su tutto e su tutti. Con Marquez imprendibile e con il sopraggiungere di nuovi protagonisti assai competitivi (Vinales, Quartararo, Rins ecc.) capaci di vincere o di salire sul podio, Ducati annaspa, incapace di rispondere all’incalzare degli avversari sempre più numerosi e incisivi, a un passo dall’essere travolti. Serve convinzione, serenità, chiarezza tattica e strategica, mettere i propri piloti nella condizione ottimale, soprattutto psicologica. Invece sono riaffiorati dubbi, musi lunghi, indecisioni, persino incapaci di chiudere il contratto con Petrucci che, dopo l’infilata subita ieri ad Assen da Morbidelli, sconsolato si lascia andare: “In Ducati sono fra l’incudine e il martello”.
In ballo non c’è la pur importante questione del futuro di un pilota di “sostanza” come Petrucci o quello del più quotato Dovizioso, forse al suo ultimo tentativo di assalto al titolo della classe regina, ma la consistenza di una grande squadra quale la Ducati ufficiale che, sempre invischiata nel nodo-piloti, vede ridursi al lumicino la possibilità di riportare il titolo MotoGP a Borgo Panigale, anzi, di non poter tenere neppure la piazza d’onore. Quel che è peggio è che questa situazione non è “pro tempore”, non riguarda una particolare fase del campionato o una singola stagione di corse: qui l’andazzo è sempre lo stesso, fin dai tempi di Stoner, su su, Rossi, Iannone, Lorenzo ecc.. C’è una questione di “manico” sulla tolda di comando, specie riguardo alla scelta e alla conduzione dei piloti, alla strategia complessiva. Insomma lo staff che detta la musica non è pari allo staff tecnico del Team limitandone il potenziale e togliendo alla Ducati i risultati che merita. Che fare? Definire e chiudere una volta per tutte ogni bega contrattuale ancora aperta con i piloti, in primis quella con Petrucci. Definire e imporre una strategia chiara con un gioco di squadra utile per il risultato in gara e, soprattutto, per il campionato. Un solo grido! Quale? Passare dalla difesa all’attacco! Sempre e ovunque. Subito. Per Ducati il tempo potrebbe essere già scaduto.