MotoGP, la “questione” Rossi

Assen è per Rossi solo un incidente di percorso o un segnale inequivocabile di crisi che anticipa il fine carriera?

Di Massimo Falcioni
Pubblicato il 2 lug 2019
MotoGP, la “questione” Rossi

Dopo Assen, trionfale per Yamaha e disastroso per Valentino Rossi, la domanda è una sola. Se cioè il GP d’Olanda è per il 9 volte campione del Mondo solo un incidente di percorso cancellato sin dal prossimo round del Sachsenring o se è un segnale inequivocabile di crisi che anticipa il fine carriera. Nelle sue stagioni d’oro, l’arma vincente di Valentino in pista è stata quella dell’assalto alla baionetta nell’ultimo giro, l’attacco finale inesorabile sulla “preda”, il sorpasso assassino nell’ultima curva. Nelle sue ultime stagioni Valentino è diventato calcolatore, puntando sulla continuità, non più predatore d’assalto col dente avvelenato, ma volpe astuta, costruttore di podi, produttore di punti con il titolo numero 10 un miraggio, per lo più ridotto a strumento di marketing. Ecco oggi, la terza via, in questa stagione agonistica via via afflosciatasi. Senza più il pungiglione velenoso, senza più la costanza e la sicurezza, resta l’orgoglio del vecchio leone, infranto però ad Assen in una manovra d’ azzardo con l’anteriore che si chiude nell’ultima disperata staccata che spara il corridore nel ghiaione. Non è stato così anche per altri campioni?

A metà degli anni ’60 Agostini, pilota di gran classe e di grande intelligenza, 15 titoli iridati, ha inventato il motociclismo moderno chiudendo l’epopea de: “I giorni del coraggio”. Ago attaccò il casco al chiodo in… ritardo, nel ’77, 35enne oramai appagato e in “discesa”, passando poi all’automobilismo, un errore. Rossi, pilota di grande talento e di incontestabili risorse, è l’inventore del motociclismo “post moderno”, uno “show-business” ben oltre lo zoccolo duro degli appassionati, spinto dai nuovi strumenti della comunicazione rivoluzionata da internet. A 40 anni suonati, il Doc non molla, non vuole mollare ma non ha più chiaro né il percorso né la meta. “Pourquoi court monsieur Coppi?” titolava l’Equipe con il “campionissimo” sul viale del tramonto? Già. E Rossi? Rossi non chiude ancora col mondiale non perché cerca l’inarrivabile titolo numero 10 o perché pensa di essere ancora il “number one”, ma perché è ossessionato dall’idea del futuro non più da pilota protagonista. L’essere una risorsa futura per il motociclismo manageriale non lo appaga se fuori dall’unica sua passione, vera ragione di vita, quella del corridore.

Torniamo ad Assen e al dopo Assen. Una Yamaha sul gradino più alto del podio, una Yamaha al terzo posto, una Yamaha quinta valgono più di mille parole sui valori in campo espressi ad Assen e tolgono a Rossi ogni possibilità di non prendere atto della realtà. Su un circuito tecnico qual è quello olandese la M1, sia quella ufficiale sia quella satellite, ha fatto la differenza. Ma su un circuito così, da “pelo”, sono stati Vinales e Quartararo, con una guida di forza quanto pulita e redditizia, a dare una dimostrazione di indiscussa superiorità, persino su Marquez, sempre gigante anche nell’inconsueto ruolo di novello “ragioniere”. Per Rossi è una sentenza che pone interrogativi sul suo reale livello di competitività, su cosa vuol fare da grande. Così si apre la “questione Rossi”, il rapporto dell’asso pesarese con la sua squadra e con la Yamaha, di fatto qual è il futuro di Valentino pilota. Il Doc si difende: “Non è il momento più difficile della carriera”. Ma il rapporto con il passato è azzardato: tempi lontani e situazione diverse, sia per l’età di un pilota oggi sopra i 40 anni, sia per la qualità e la quantità degli avversari in campo. Vale cerca un appiglio: “Nel primo giro lanciato ho fatto 6 decimi in meno che in prova. E due mesi fa stavo per vincere ad Austin e sono comunque il pilota Yamaha con più punti in classifica”. Vero. Ma la realtà va interpretata.

Rossi procede con il passo del gambero mentre i suoi compagni di Marca sono in netto miglioramento, fanno risultato, avanzano minacciosi in classifica. Insomma, mentre il Doc si è perso tecnicamente e agonisticamente e non trova la quadra, Vinales, Quartararo e lo stesso Morbidelli, spingono forte sulle loro M1, non certo la moto che fa la differenza ma tutt’altro che superata. All’opposto, bollare Rossi quale pilota “finito” – tempi alla mano e corse 2018 e 2019 al vaglio – è una forzatura. Ma sarebbe miopia non prendere atto di una MotoGP in forte evoluzione con i piloti oramai su tre livelli: Rossi (e forse anche Lorenzo, Dovizioso, Crutchlow) diversi fra loro ma tutti decisi – grazie al talento, alla determinazione, all’esperienza – a non precipitare ma oramai incapaci di invertire il trend negativo che inevitabilmente porta alla discesa. Per Valentino può esserci ancora una giornata con il “colpo d’ala” vincente ma la lunga straordinaria irripetibile stagione d’oro è passata. Al centro della scena c’è, ben saldo, Marquez – considerato “seniores” a 26 anni – il fenomeno-certezza che, con 7 titoli mondiali già vinti, collega il passato (dei Rossi, dei Pedrosa, dei Lorenzo ecc.) con il futuro dei “giovani leoni”, il futuro che è già oggi. Eccoci, dunque, a Vinales, Quartararo, Rins, Morbidelli ecc. diversi fra loro e, con qualche altro arrivo dalla Moto2 e presto dalla Moto3, pronti a scrivere una nuova pagina della MotoGP.

C’è una via d’uscita per Rossi? Sì. Il cambio di passo, anzi una rivoluzione. Non cercare di imporre le sue scelte tecniche a Yamaha. Non immettersi nelle beghe piloti. E invece rivoltare come un calzino la propria squadra, il proprio entourage, la propria immagine, la propria comunicazione. Serve aria nuova, gente nuova, senza più stucchevoli yes man né arroganti guardaspalle, uno staff libero da soggezioni e da incrostazioni di ogni sorta. Una nuova sfida, dunque. L’unica via da tentare per ritrovare le motivazioni sopite e rimanere in campo da protagonista, almeno per altre due stagioni. Ciò detto, qui non si emettono sentenze, volendo solo contribuire a un confronto costruttivo, fuori dai veleni del fanatismo. Lo status attuale di Rossi, pilota diventato “perdente” o, se più aggrada, “non vincente”, nulla toglie al pedigree e al valore di un fuoriclasse cui il motociclismo deve tanto. Uno come Valentino, personalità di forte carisma e di notevoli risorse, quando attaccherà il casco al chiodo non rischia certo di esaurirsi nell’oblio. Deve però decidere lui, in piena autonomia, quando compiere il gran passo: non oggi ma non sine die. Meglio uscire di scena quando si è ancora nelle primissime file, sotto la luce dei riflettori, che dopo essere finiti sul ghiaione, a luce spenta.

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