Tarquinio Provini, 15 anni fa ci lasciava il campione più “travolgente” degli anni ‘60

Provini, corridore “speciale” che ha traghettato il motociclismo del dopoguerra all’era di Giacomo Agostini. Tarquinio è stato (con Carlo Ubbiali) il “re” della 250

Di Massimo Falcioni
Pubblicato il 6 gen 2020
Tarquinio Provini, 15 anni fa ci lasciava il campione più “travolgente” degli anni ‘60

Sembra ieri, ma sono già passati 15 anni da quando il 6 gennaio 2005 ci lasciava Tarquinio Provini, 72enne, uno dei più grandi campioni di tutti i tempi, il pilota italiano più amato degli anni ’50-’60. Combattente in pista, pilota d’attacco, tecnico di qualità, curatore dei minimi particolari fino alla pignoleria (forò con un trapano a mano i tacchi degli stivaletti per alleggerire i pesi …), insuperabile stilista (interpretò come nessun altro la guida “a uovo”), quanto mite, aperto e alla mano fuori dalle corse, sempre pronto al sorriso e sempre disponibile con tutti anche nei momenti caldi prima di una corsa importante.
Tarquinio si è misurato, spesso vincendo, con i più grandi campioni della storia del motociclismo mondiale: Ubbiali, Hocking, Hailwood, Mc Intyre, Masetti, Liberati, Duke, Dale, Amm, Mendogni, Taveri, Hartle, Minter, Degner, Gandossi, Brambilla Ernesto, Spaggiari, Grassetti, Venturi, i fratelli Villa, Milani, Read, Ivy, Takahashi, Ito, Anderson, Tanaka, Robb, Perris, Torras, Phillis, Redman, solo per citarne alcuni, su su fino all’arrivo di Giacomo Agostini (GP d’Italia Monza settembre 1963), proprio in squadra con Tarquinio alla Morini.
Scriveva il compianto e comune amico Ezio Pirazzini: “Tarquinio, nome di uno dei sette Re di Roma, calza proprio a pennello in quel tipo di lineamenti molto marcati, dal naso aquilino e dai capelli neri e ricciuti. Provini ha reso celebre questo nome in maniera rapida e sorprendente. … Il centauro piacentino si affrettò a calzare gli stivali delle sette leghe per giungere in fretta al traguardo della notorietà. Classe ed irruenza erano le doti naturali che favorivano la sua ascesa”.
Già. Due volte Campione del Mondo, undici volte campione d’Italia dal 1954 al 1965 quando il tricolore valeva un mondiale, 20 gran premi vinti, una infinità di podi e di giri record sulle piste di tutto il mondo: ma titoli, coppe e medaglie non sono in grado di tradurre il valore di un pilota come Tarquinio.

Chi, come l’estensore di queste note, ha conosciuto Tarquinio Provini ne ha ammirato le qualità dell’uomo e del pilota. Un corridore “speciale” che ha “traghettato” il motociclismo del dopoguerra all’era di Giacomo Agostini. Tarquinio è stato (con Carlo Ubbiali) il “re” della 250; ha corso con moto ufficiali Mondial, MV Agusta, Morini, Kreidler, Benelli; è stato l’anti Ubbiali (9 volte campione del Mondo) e, almeno nella prima fase, l’anti Agostini (15 titoli iridati).
Piacentino di Roveleto ma bolognese di adozione, quasi idolatrato dai romagnoli e dai pesaresi in particolare, Provini è stato – va ribadito – il pilota più travolgente del dopoguerra, quello con più carisma, il vero trascinatore di folle, uno stilista e un tecnico inimitabile. Qui non ripercorriamo la sua splendida carriera ma ricordiamo quel 25 agosto 1966 quando con la sua Benelli 4 cilindri nero fumo/antracite (il colore della .. bomba) subì al TT inglese un gravissimo incidente in prova che lo lasciò fra la vita e la morte e che gli fece dare, all’età di 33 anni, l’addio alle corse. Questo scrivevamo su Motoblog: “Per 30 anni, furono i portuali inglesi ad essere considerati “colpevoli” di quella gravissima caduta del campione italiano e di altri gravi incidenti di quelle giornate. Causa uno sciopero durato molte settimane, quell’anno la data del TT fu posticipata da giugno a fine agosto. E due mesi facevano la differenza rispetto all’alzata del sole sull’Isola di Man. Anche perché le prove ufficiali venivano effettuate a ridosso … dell’alba. Durante il giorno il traffico tornava ad occupare il circuito…”.
Era un giovedi mattina, quel 25 agosto 1966, e Provini sul rettifilo che porta al Ballaugh, sui 230 all’ora, supera il cartello che annuncia “Beware sun next 9 miles”, “Attenzione al sole nelle prossime nove miglia”. L’urlo della sua Benelli 4 cilindri nera con le due bande laterali “tricolori” lacera la boscaglia circostante e, d’improvviso, s’ammutolisce. Accecato dal sole (così si disse per decenni), il pilota emiliano perde il controllo del bolide e va a schiantarsi su un terrapieno, per poi ricadere vicino all’asfalto, privo di conoscenza e, apparentemente, in fin di vita. Ma la verità è un’altra. Al TT la Benelli, in vista della corsa successiva di Monza, stava sperimentando una nuova 350 “quattro” , un bolide che battè subito il record della pista.

Vista la competitività del nuovo mezzo, Provini chiede ai meccanici di far “riposare” il nuovo motore e di continuare a provare con la vecchia 250 che però va subito in tilt. La notte, meccanici e pilota decidono di “eliminare” un cilindro, tagliando una biella alla base dell’albero motore, non essendoci più tempo per aprire il carter. Il giovedì mattina, il motore a “tre” supera addirittura i 16 mila giri. Ma appena Provini, in quel punto maledetto, per il sole, chiude il gas, il motore s’inchioda e innesca il tremendo incidente.
Si era tranciato il moncherino di biella che i meccanici avevano lasciato attaccato all’albero motore. Quel moncherino forò il carter finendo tra gli ingranaggi del cambio, che si bloccò, sparando moto e pilota. Che tempi!
Così Provini descrisse l’accaduto: “Sono volato via come sparato da un cannone. Subito ho avvertito un dolore lancinante nella parte terminale della spina dorsale e mi è sembrato che le gambe non facessero più parte del mio corpo, lontane da me, soverchiate da un peso enorme. Ero rosso di sangue ovunque. Sono rimasto almeno un’ora con un tremendo dolore che mi spaccava a metà. Invano, quando sentivo il suono assordante dei motori facevo un cenno alle meteore che mi sfrecciavano davanti. Passarono in tanti, ma nessuno si accorse di me. Il lungo calvario è continuato fintanto che un buon samaritano con la barba mi si è parato davanti. Con cinghia e bretelle ha tentato di unire alla parte più viva, quella che non sentivo più. Molto tempo dopo, su una traballante vettura nera sono stato trasportato all’ospedale di Douglas e lì sono rimasto fino al 5 settembre. Poi il volo in Italia e la difficile rinascita al Rizzoli di Bologna”. Provini aveva subito altri gravi incidenti, fra cui quello di Spa Francorchamps del 1960, con la rottura dell’osso del collo. Stavolta era la frattura alla spina dorsale. Tarquinio si riprese piano piano e addirittura tornò ad esibirsi con la sua Benelli 250 quattro, regalatagli dalla casa pesarese. Tarquinio, spesso, chiedeva al suo gatto bolognese chi era l’altro gatto nero senza coda che quel giorno gli tagliò la strada all’isola di Man”.
Ciao, Tarquinio, inimitabile! E grazie!

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